L’insofferenza che parla di noi
Non sono una che prova antipatie e di certo non antipatie gratuite, ma ci sono persone che preferisco non incontrare e con gli anni sono diventata abile a cambiare via. Mi ritrova quatta quatta come una gatta, striscio quasi contro il muro e poi hop, con un battito di coda sparisco dietro l’angolo. Lo faccio per me stessa, perchè se non vedo, allora neppure sento e provo, quindi va meglio cosí. Ma come sempre l’estate porta consiglio e prevenire diventa meglio che curare. Scovare i pensieri più torbidi è la mia passione, scoprire da dove arrivano e cosa creano nella mia testa è quasi una missione.

Foto: Zen

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Mi sconvolge pensare ciò che dicono gli psicologi. È possibile che a urtarci nel profondo non siano tanto i comportamenti in sé delle persone che evitiamo o non ci piacciono, quanto quello che di nostro, a livello inconscio, vediamo in loro. Ossia il riflesso di determinati aspetti del nostro carattere che noi per primi non accettiamo di possedere, oppure quelle caratteristiche che ci mancano e che vorremo tanto arrivare a conquistare. Insomma, in certe persone finiamo (senza accorgercene) per rispecchiarci e quello che ci crea per davvero un disagio è vedere la nostra immagine riflessa in loro. Perciò, dietro le frizioni che spesso vengono a crearsi fra noi e determinate persone, si nascondono delle difficoltà che abbiamo con noi stessi. Si nascondono i nostri problemi irrisolti. Le emozioni che vogliamo archiviare. I traguardi che non abbiamo raggiunto. Perciò, alla fin fine, è con noi stessi – prima ancora che con queste persone – che abbiamo bisogno di fare pace.

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La domanda allora diventa questa: sappiamo perdonarci? Io lo trovo estremamente difficile, cosí come è difficile abbracciarmi alla mattina e darmi un buffetto sulla guancia, tanto per dire a me stessa: brava, ce l’hai fatta! Sappiamo essere molto gentili, umani e comprensivi con chi ci sta intorno, ma non lo siamo con noi stessi. Perchè? L’altro giorno leggevo un articolo interessante a questo proposito; diceva che tanto quanto siamo gentili e comprensivi nei confronti dei nostri nonni, tanto dovremmo esserlo con noi stessi. E invece ci passiamo sopra come carri armati e poi ci stupiamo se fa male. Già, perchè fa tanto male. Non si tratta di lodare se stessi, di farsi grandi, di darsi arie, si tratta solo di incominciare ad adottare una sorta di forma elementare di “voler bene” anche e soprattutto quando sbagliamo. Tutti lo facciamo e spesso, anzichè trovare una via per perdonare noi stessi, ci incolpiamo all’infinito, sviluppando una sorta di intolleranza micidiale, che con il passare degli anni diventa pure distruttiva.

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Se partiamo dal presupposto che l’antipatia verso una determinata persona è in realtà qualcosa che parla di noi, allora possiamo prendere quell’antipatia e usarla per leggere qualcosa della nostra personalità. Per scoprire qualche vicolo cieco in più e magari trovare il modo di illuminarlo, una volta per tutte. Per accettare il fatto che tutti abbiamo delle zone d’ombra e se è difficile cambiarle in noi stessi, figuriamoci quanto lo è cambiarle negli altri. Ma in fondo è questo ciò che vorremmo? A pensarci bene neanche no. Preferisco lavorare su me stessa, piuttosto che occuparmi delle vite altrui e scervellarmi del perchè o per come le reazioni degli altri non soddisfano le mie aspettative. Magari è più facile cambiare aspettative, è di certo più veloce, più logico e anche più utile.

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Ogni qual volta passa un’estate mi dispiace per molti motivi. Non solo perchè starei sempre in costume da bagno e sandali bianchi, ma anche perchè in un certo senso passa l’occasione per guardarsi dentro. Credo che dopo i 40 questa sia l’unica cosa che conti davvero.